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da “Partigiani” – la tipografia clandestina

Spunto per la realizzazione del Murales “Clam” di Vera Bugatti, è il passaggio dedicato all’affascinante storia della tipografia clandestina della Resistenza, costituito nel Podere Piave a Cànolo dai fratelli Pinotti con il tipografo Gino Patroncini, un comunista che lo stato fascista aveva iscritto negli elenchi dei vigilati speciali.
Gino, che aveva lavorato in gioventù presso la tipografia dei Notari, era già stato arrestato due volte per attività sovversiva a favore del PCI e condannato alla pena detentiva. Tornato libero nel 1936, dopo aver sottoscritto a favore della Spagna repubblicana, era stato confinato a Ponza per altri due anni.
Nel 1944 Arrigo Nizzoli (che nel dopoguerra sarebbe diventato Segretario della Federazione del PCI reggiano) gli propone di coordinare il lavoro di una piccola tipografia a Correggio.
La vicenda della macchina tipografica era iniziata nel mese di febbraio, quando Vittorio Saltini (Toti) scelse il podere dei tre fratelli Pinotti come luogo per le riunioni del partito, si convinse che potesse ospitare un tipo di undici quintali. A comporre i testi sarebbe stato Patroncini, che visse da recluso, in solaio e poi sottoterra, per 11 mesi.
I Pinotti si alternavano freneticamente alla pedalina (erano necessarie otto robuste pedalate per stampare un foglio) ei volantini furono migliaia, una quantità incalcolabile di materiali diversi (alcuni esemplari sono conservati presso il Museo Cervi di Gattatico). Monbello, il più giovane, riuscì a stamparne da solo millecinquecento, senza mai fermarsi, una fatica disumana.
Le donne poi portavano i volantini in lavanderia, li tagliavano e li confezionavano. Venivano infine consegnati in un rifugio in mezzo alla campagna, dove le staffette li recuperavano per la diffusione.
I Pinotti furono costretti a diventare schivi e inospitali e per estrema cautela allontanarono anche Nicioun, il calzolaio che diffondeva la stampa antifascista, proprio quella prodotta al podere (a sua insaputa). Gli dissero che preferivano non accettare i volantini, troppo pericoloso.
La fama dei traditori opportunisti pesò indubbiamente alla famiglia, ma salvò l’attività della tipografia alla quale contribuivano tutti con devozione (i fratelli, mamma Faustina, le due nuore, perfino i bambini), attenti ad evitare che il forte rumore della macchina svelasse il loro segreto.
In inverno, col timore di perquisizioni e rastrellamenti, la pedalina fu trasferita in un sotterraneo scavato in una sola notte sotto la stalla, proprio mentre a cento metri sfilavano truppe tedesche. Un ambiente umido, insalubre e senza aereazione (l’aria passava attraverso un tubicino) cui si accedeva in sicurezza da una botola, ma che si allagava completamente alla prima pioggia.
Patroncini lavorò in quelle condizioni fino all’uscita dell’ultimo volantino, quello che lanciava la parola d’ordine dello sciopero insurrezionale, e non fu mai scoperto, con grande sorpresa di tutti.